Cassazione civile: attenti ai titoli
e ai sottotitoli.
Possono diffamare.
di Sabrina PERON
avvocato in Milano
per www.personaedanno.it 26/10/2011
Il termine «pezzo giornalistico» comprende non solo il testo scritto di un articolo, ma anche il titolo, l’occhiello, le immagini fotografiche che lo corredano e, più in generale, l’impaginazione e la sua presentazione grafica.
La comunicazione giornalistica, difatti, non consiste in un mero testo (sia esso parlato o scritto), poiché «l'attività giornalistica ha forme diverse che vanno dallo scrivere un articolo, all'illustrarlo con immagini, fotografie e fotomontaggi, dall'impaginazione grafica (titolo, risalto tipografico, etc.) alle ricerche storiche o d'archivio, etc.» (Cass. pen., sez V, 9.05.1980, RP, 1981, 267).
Ipotesi diffamatorie possono quindi realizzarsi non solo tramite il contenuto di un articolo giornalistico, ma anche tramite tutti quegli elementi che concorrono a realizzare la presentazione della notizia Cass. pen., 30.03.2000, Giustolisi, in GI, 2001, 1231).
Il contenuto diffamatorio di un articolo viene valutato non solo sulla base del suo tenore letterale, ma anche tenendo presente il contesto complessivo in cui lo stesso si colloca e, quindi, le immagini e/o la vignetta satirica che eventualmente l’accompagnano, il titolo, il sottotitolo, l’occhiello, il sommario, la didascalia, il risalto grafico dato alle parole, lo spazio utilizzato per sottolineare, magari maliziosamente, alcuni particolari e così via (Cass., sez. V, 26.02.2003, Padovani, in D&G 2003, 20, 95).
Tanto premesso la sentenza della Cassazione che qui si pubblica in coda (Cass. civ. Sez. III, 07.10.2011, n. 20608, Pres. Amatucci; Rel. Carneo) conferma la precedente decisione della corte d’Appello, che aveva valutato il limite della continenza, con riferimento “non solo al contenuto dell'articolo in sé ma all'intero contesto espressivo in cui l'articolo è contenuto, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito nell'immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva il significato di un articolo”. In particolare, i titoli ed i sottotitoli, a ragione della loro icastica perentorietà, potrebbero già essere di per sé idonei a “fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi che si fermano magari alla lettura dei soli titoli o si limitano ad una lettura superficiale del contenuto degli articoli”.
La Cassazione ribadendo tale principio, in via generale ha osservato che la continenza “comporta moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l'altrui dignità morale e professionale”. Nel caso particolare ha altresì osservato come detto requisito difettasse nel caso di specie per il “tono sprezzantemente sdegnato e scandalizzato del sottotitolo, che veniva letto necessariamente collegato con il titolo, per l'uso insinuante delle parole” ("elenchi di spie", l’articolo riguardava infatti il noto caso Mitrokin), che “mirava ad attirare negativamente l'attenzione dei lettori e ad accreditare come verità accertata sia la valenza dell'elenco sia il ruolo di spia” dell’attore. E ciò “malgrado si trattasse di documenti e circostanze la cui veridicità ed attendibilità fossero ancora tutte da accertare”.
In definitiva l’utilizzo di termini, con connotazioni maggiormente spregiative di altre, ugualmente utilizzabili, per riferire delle mere ipotesi accusatorie, che come tali dovrebbero essere riferite con particolare cautela appare particolarmente grave. E soprattutto, quando tale utilizzo si accompagna alla “tecnica della previa denigrazione, magari in termini indignati e scandalizzati, di determinati ambienti ed attività, cui si fa seguire l'accostamento per incidens di taluni soggetti, per favorire sottintesi ed insinuazioni, pur senza aver preso, in apparenza, una precisa posizione di adesione alle accuse rivolte alle persone coinvolte nella vicenda”.
Ad avviso della Corte in questi casi, “l'effetto che ne deriva può ingenerare non solo sollecitazioni emotive fini a se stesse ma determinare altresì la formazione di giudizi, magari frettolosi e superficiali, idonei però a ledere anche gravemente l'onore o quanto meno la reputazione dei protagonisti”.
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Il Tribunale di Milano ha condannato in via solidale gli articolisti della Poligrafici Editori al risarcimento dei danni in favore del giornalista diffamato (accusato di essere una spia del Kgb) liquidati in euro 25.000,00 nonchè al pagamento di euro 8.000,00 a titolo di riparazione pecuniaria oltre che alla refusione delle spese. Sentenza che la Corte d’Appello ha confermato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e ha condannato i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali che ha liquidato in euro 7.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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Sentenza tratta, con autorizzazione da, UTET Pluris Data